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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Effetto dei vaccini pneumococcici coniugati sulle infezioni respiratorie virali: una revisione sistematica della letteratura"
lun 20 gen, 2025

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Sepúlveda-Pachón IT, Dunne EM, Hanquet G, Baay M, Menon S, Jodar L, et al.
Effetto dei vaccini pneumococcici coniugati sulle infezioni respiratorie virali: una revisione sistematica della letteratura
J Infect Dis. 2024;230:e657-e667.

I vaccini pneumococcici coniugati (PCV) da oltre 20 anni rappresentano una delle misure di profilassi più valide tra tutte quelle rese disponibili dallo sviluppo della ricerca scientifica. Malgrado il fenomeno del “replacement” abbia reso necessaria la periodica messa a punto di nuovi preparati con un crescente numero di sierotipi, i PCV hanno continuato ad essere una misura fondamentale nella prevenzione di tutta la patologia sostenuta da Streptococcus pneumoniae, (Sp) inclusa quella invasiva quale meningite, sepsi e polmoniti batteriemiche.  I bambini, soprattutto i più piccoli, sono i soggetti che ne hanno tratto i massimi benefici, anche se non può essere dimenticato quanto di positivo i PCV hanno fatto, e stanno facendo, negli anziani. Basterebbe questo per essere sostenitori dell’uso di PCV, cosa che, in realtà, tutti i paesi industrializzati, e anche moltissimi di quelli del terzo mondo, hanno fatto. Ma, forse, esiste un altro motivo per continuare ad utilizzare quanto più largamente possibile i PCV.

Dati recenti sembrano indicare che chi si vaccina con PCV è protetto anche dalle infezioni respiratorie sostenute da agenti infettivi diversi da Sp. L’esempio della epidemiologia delle polmoniti è paradigmatico al riguardo. Non pochi studi suggeriscono, infatti, che la riduzione dei casi di polmonite nei soggetti vaccinati con PCV sembra essere superiore a quanto calcolabile sulla base dell’eziologia pneumococcica delle polmoniti stesse, come se il vaccino fosse in grado di prevenire anche casi nei quali Sp non ha ruolo e sono, invece, dovuti a eziologie diverse, in genere di tipo virale.  Lo studio di Sepulveda-Pachon e collaboratori va proprio nella direzione di cercare di chiarire il ruolo non specifico di PCV, esaminando i dati pubblicati dal 2000 al 2023 relativi all’effetto di PCV7, PCV9, PCV10 e pCV13 sulla incidenza delle infezioni delle vie aeree (RTI) di origine virale. Un totale di 13 studi riguardanti soggetti di età pediatrica è stato analizzato. L’efficacia è stata valutata comparando l’incidenza delle infezioni respiratorie virali dimostrate in laboratorio nei soggetti che avevano ricevuto il vaccino rispetto ai soggetti non vaccinati nell’ambito di un unico programma di utilizzo di PCV.  

I risultati sono stati abbastanza diversi da studio a studio probabilmente in funzione delle differenti modalità con cui questi sono stati condotti e le conseguenti differenze in termini di modalità di somministrazione dei diversi vaccini PCV, del tipo di virus analizzato, delle dimensioni del campione e delle caratteristiche della popolazione studiata. Globalmente, tuttavia, i risultati confermano quanto era già emerso, vale a dire il fatto che i PCV sembrano avere significativi effetti non specifici, anche se con differenze riguardo al tipo di infezioni virali prevenute e ai soggetti che usufruiscono dell’estensione dell’effetto protettivo. L’esempio migliore al riguardo è quello rappresentato da 5 studi (2 randomizzati e controllati e 3 osservazionali) che coinvolgono bambini < 5 anni e dimostrano che nei soggetti vaccinati con PCV7, PCV9, PCV10 e PCV13 il rischio di andare incontro ad una polmonite virale che necessita di ospedalizzazione si riduce dal 22% al 51%.  L’effetto è massimo nei casi sostenuti da virus influenzali ma è significativo anche per le forme sostenute  da parainfluenzavirus, coronavirus e metapneumovirus mentre non sembra esserci in caso di infezione da adenovirus o RSV. Inoltre, la protezione è minima o nulla se il bambino ha una patologia di base come infezione da HIV o cardiopatia o broncopneumopatia cronica.

Le ragioni di questo effetto non sono chiare. Due sono le ipotesi più accreditate e riferite dagli autori di questo studio, ipotesi, in realtà, molto generiche che non spiegano nel dettaglio perchè l’effetto aspecifico si realizza contra certi virus e non contro altri.  La prima è che in molti casi l’eziologia della infezione respiratoria non sia soltanto virale ma sia mista, cioè pneumococcica e virale, e che il batterio non sia riconosciuto, vista la nota difficoltà di inquadrare le forme batteriche specie se localizzate alle basse vie. L’inibizione dello pneumococco da parte di PCV inibirebbe anche la replicazione del virus, fornendo così l’impressione di un effetto indiretto, in realtà soltanto mediato dall’eliminazione del batterio. D’altra parte, interferenze nel ruolo patogeno di batteri e virus sono note da tempo e non meraviglia, quindi, che anche in questo caso possano essere presenti.  La seconda è che i PCV operino riducendo la colonizzazione pneumococcica del faringe, così impedendo lo sviluppo delle forme virali attraverso un meccanismo immunologico. Dati in questo senso esistono, compresi quelli che riguardano le epidemie stagionali di influenza e la recente pandemia da SARS-CoV-2, con la dimostrazione che nei soggetti con elevata colonizzazione pneumococcica a livello delle alte vie al momento dell’acquisizione della forma virale, la riposta immune contro questi virus è notevolmente ridotta, così favorendo lo sviluppo di patologia respiratoria virale. Se i PCV riducono la colonizzazione, come è ben dimostrato almeno per i sierotipi contenuti nel vaccino, la risposta immune contro i virus rimane buona e questi non possono causare infezione.

Non considerata è, invece, la possibilità che i PCV siano in grado di suscitare la cosiddetta “trained immunity”, di evocare, cioè, una memoria dell’immunità innata capace di estendere, al di là dell’effetto specifico legato all’immunità adattiva tipico di tutti i vaccini e assolutamente antigene specifica, anche un effetto sull’immunità innata capace di riconoscere a distanza anche antigeni diversi da quelli degli agenti infettivi responsabili di infezioni precedenti. La mancata citazione di questo fenomeno è, probabilmente, legata al fatto che la “trained immunity” sarebbe specifica dei vaccini vivi e non di quelli non vivi che, avrebbero, addirittura un effetto opposto. Essendo i PCV vaccini non vivi, ci si dovrebbe addirittura aspettare un affetto favorente le infezioni virali. Fortunatamente questo non c’è e non ci sono problemi all’uso dei PCV. D’altra parte, anche per i vaccini influenzali inattivati, anch’essi non vivi, ci sono dati simili a quelli raccolti con i PCV, suggerendo che, forse, il problema della “trained immunity” va meglio studiato e, in ogni caso, non deve in nessun modo mettere in discussione le vaccinazioni che restano fondamentali per la salute dei nostri bambini. I vantaggi sono troppi e ogni tentativo di sminuirne il ruolo protettivo deve essere attentamente valutato prima di trovare spazio di discussione.

Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS