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CHARLIE GARD: RISPETTO E SILENZIO
mer 05 lug, 2017

Sono costretto a raccontarVi brevemente la storia, che molti di Voi conosceranno per il clamore mediatico che ha suscitato, del piccolo Charlie Gard.
Charlie ha undici mesi ed è affetto da Sindrome da Deplezione del DNA Mitocondriale. Malattia rara che rappresenta la forma più severa delle Miopatie Mitocondriali con coinvolgimento multiorgano, necessità di ventilazione e supporto artificiale per l’alimentazione. I neonati affetti, in gran parte, non raggiungono l’anno di età. Non vi è terapia validata (UpToDate 2017).
Tutti i media aprono in questi giorni con “la vicenda.. la storia...il caso  di quel bambino…e  staccare la spina” ma poi quello che buca lo schermo è la malattia rara che va descritta, la terapia sperimentale, il contrasto fra genitori e medici, le sentenze dei giudici.

E Charlie? Charlie diventa opaco come la pietosa schermatura delle riprese televisive.
A molti di noi è capitato di vivere momenti diversi, ma in sostanza con gli stessi dilemmi.
Momenti in cui si misura davvero la distanza fra due poli che si respingono. Il nostro con il ragionamento biologico e la clinica che ti dicono di fermarti e loro, i parenti, i genitori, che non posseggono le nostre quasi certezze, ma che vogliono solo bene, vogliono una speranza che noi sappiamo, quasi sempre, non esserci più.
Quante volte, per chi di noi si è trovato “dall’altra parte”, quel nostro “privilegio” di conoscenza e coscienza avremmo voluto non possederlo, non conoscerlo, non praticarlo.
Interrompere il sostegno strumentale? Sì, perché è lui che sta male, perché il dolore è suo, esclusivo, senza senso, a cui noi genitori, figli, non dovremmo anteporre il nostro amore, il non volerlo perdere.
Stiamo parlando del nostro sentire individuale in cui le opinioni, le visioni, quando non strumentali, naturalmente differiscono e sono tutte rispettabili.
Ed aggiungo: ogni caso è unico, irripetibile.
Noi non siamo lì con i medici ed i loro sofferti convincimenti se pur basati su solidi dati clinici e scientifici.
Noi non siamo lì con i genitori con il loro dolore intimo, privato, naturale, che vogliono vivo il loro bambino.
E’ una sconfitta dei medici che non hanno saputo “convincere” i genitori dell’inutilità delle sofferenze senza prospettive di Charlie?
Una cosa è certa. A Charlie, ai suoi genitori, ai medici, il clamore dei media ha fatto male, molto male.
Non si tratta di occultare o evitare il problema del “limite” che va discusso, analizzato e studiato.
Si tratta di rispettare con il silenzio i drammi che Charlie e tanti altri Charlie vivono quotidianamente nelle nostre corsie.


Ottavio Di Stefano