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8 MARZO 2021...IL GIALLO DELLA MIMOSA ED IL ROSSO SCURO
lun 08 mar, 2021

Me l’aspettavo, ma l’ansia di fondo, che pervade un po' tutti noi, si è accentuata: “la curva dei ricoveri si è impennata, situazione drammatica…ritorna la paura di rivivere la primavera scorsa”. Questo il messaggio del mio vecchio amico 70enne che, da pensionato, trascorre dodici ore e più, tutti i giorni, nel suo ospedale. E tutti gli ospedali, da Esine a Desenzano, sono di nuovo sotto pressione. Si moltiplicano le conversioni in reparti Covid e, come sempre, non si moltiplicano gli operatori. Si va di nuovo oltre la fatica. Diminuiscono le prestazioni su pazienti non Covid.

E fuori… da 10 a 30 pazienti per medico, con punte di 40-50 casi su 1500 pazienti, sia paucisintomatici che con coinvolgimento polmonare, forse con minore gravità diffusa. Ma tutti devono essere curati e seguiti. Circa sette giorni per eseguire un tampone molecolare. Ed anche sul territorio si riducono le prestazioni sui malati cronici.

La burocrazia, che neanche la pandemia sembra scalfire, porta via tempo clinico che altro non è che tempo dedicato al malato. Abbiamo nuovi vertici regionali “decisionisti”, che in “tempi di guerra” non fanno male, ed allora perché, perché non semplificare. Perché i malati cronici devono inseguire lo specialista ospedaliero, magari dirottato a dare un supporto nei reparti COVID, per i piani terapeutici di farmaci di largo impiego? E tanto, tanto altro.

I numeri giornalieri di nuovi casi positivi negli ultimi sette giorni sono sempre sopra la soglia dei mille.

Questi dati, approssimativi i primi, ovviamente attendibili questi ultimi, dovrebbero determinare un rapido, immediato viraggio del colore della nostra provincia verso il rosso, il rosso scuro.

Questo, ripeto, si può e si deve fare subito, senza indugio.

Nel contempo più tamponi, tracciamento ed isolamento, e questo è davvero più arduo.

Ma le due situazioni sono strettamente legate. Meno casi con misure restrittive severe, più possibilità di tracciare.

Vaccinare, vaccinare, più persone possibili nel più breve tempo possibile. Questa frase è quasi un tormentone, ma è l’unica strada per riconquistare la nostra normalità “bellissima”. Siamo in ritardo? Sì.

Qualcosa si muove a livello nazionale e regionale. Speriamo. La disponibilità di vaccino, ora scarsa e limitante, dovrebbe mutare in senso positivo a breve.

Ma vi è una ragione di conforto. Nell’ultimo Comitato Aziendale di ATS Brescia, presenti le ASST, sulle contrapposizioni e sui contrasti è prevalso uno spirito vero di collaborazione e di ricerca di soluzioni. Questa è la strada giusta e uno degli strumenti più efficaci di superamento dei ritardi che tutt’ora permangono.

Tutti dovremo imparare un modo nuovo di fare medicina utilizzando i “nuovi” strumenti tecnologici (monitoraggio a distanza, televisita, teleconsulto) che COVID-19 ha dimostrato, nelle fasi critiche, essere di grande valore. È un crinale stretto con versanti ripidi. Da un lato queste modalità rimarranno indispensabili, anche esaurita la pandemia, ma non sono sostitutive della relazione “umana” medico paziente. Si devono integrare e ci attende uno sforzo culturale impegnativo di definizione degli ambiti e che porterà anche a modifiche del codice deontologico. La Federazione Nazionale ha già stabilito che questo sarà un tema centrale del prossimo quadriennio.

A fronte di tante colleghe e colleghi che cercano di integrare relazione e tecnologia con impegno e dedizione, con pochi mezzi e nonostante la burocrazia soffocante, pochi e poveretti, che non hanno capito il senso della   interazione a distanza, mostrando tutti i loro limiti culturali e professionali, l’hanno intesa come situazione di comodo, di fuga. Pochi e poveretti.

Più volte abbiamo detto della “fatica pandemica” che non è solo dei medici e degli operatori della salute.

E’ di tutti.
Di chi vive, a tutti i livelli, di un reddito di impresa o professionale e ha visto svanire in pochi mesi, in pochi giorni, anni di sacrificio. Ma ha sconvolto la vita dei più deboli. I poveri, gli emarginati, i precari, i disabili e le loro famiglie. Diseguaglianze socioeconomiche già rilevanti prima della pandemia sono ora devastanti. E queste incidono, per esse stesse, drammaticamente sulla salute.

I giovani cui la pandemia ha tolto un anno di socialità, di sensazioni ed emozioni emergenti, uniche ed irripetibili della loro età, non solo di lezioni in presenza. Un sentire così incisivo che alberga ancora nei ricordi di noi vecchi.

Nel 2020 l’occupazione femminile, già ai minimi in Italia rispetto all’Europa, è crollata.

Da un giorno all’altro le donne, poche, che lavorano scoprono di non poter più contare sulla scuola.

Oggi è l’8 marzo.

Concedetemi di parlare di noi, delle nostre dottoresse. Ed è giusto ricordare storie commoventi, ma vere. Dalla dottoressa, unico medico di famiglia di un paese, che per mesi non è tornata a casa per non portare il virus ai suoi bambini e, soprattutto, ai suoi genitori anziani che li accudivano, alla collega di un pronto soccorso che per le stesse motivazioni ha dormito in ospedale per settimane. Sembrava che la pandemia avesse dato loro una tregua ed invece…tutto ricomincia.

Oggi è l’8 marzo e, al di là delle emozioni, dobbiamo davvero pensare con lucidità al lavoro femminile come questione centrale in sanità e non solo. Un esempio davvero rivelatore. In un incontro con i medici di un ospedale una dottoressa, non con i toni sommessi di una richiesta di concessione, ma con determinata rivendicazione di un diritto chiedeva attuazione della norma che prevede che i figli dei sanitari, anche con scuole chiuse, come altre categorie (disabili e forse anche altre), potessero svolgere l’attività scolastica in presenza e, a tutt’oggi, sul tema non vi è chiarezza.

Non concessioni, ma diritti propri del lavoro femminile. E su questo tema gli ordini, compreso il nostro, sono in grave ritardo culturale e di sensibilità vera. Non vi parlo di buone intenzioni, di cui sono lastricate le strade dell’inferno, ma di valutare criticamente proposte ed interventi che il prossimo consiglio dell’ordine dovrà mettere in campo.

Proposte ed interventi sulla specificità e tutela del lavoro delle donne della sanità non sono opzioni, ma vero dovere deontologico.

Oggi è l’8 marzo, concedetemi un momento quasi personale, con questa fotografia di Adriana Loglio della sua mimosa, di ringraziare tutte le donne medico (dovremo abituarci a dire mediche?) sapendo che i ringraziamenti sono effimeri e ciò che conta è la tutela concreta dei diritti.

Ma …per un giorno giallo è bello.

Ottavio Di Stefano
8 marzo 2021