“Più tardi la vengo a cercare, dobbiamo fare due chiacchiere a quattr’occhi”.
Il giovane neolaureato, in quell’estate del ‘76, non capiva. L’Aiuto aveva appena completato anamnesi e visita accurate. Era chiaro perfino a lui che il cinquantenne muratore che riferiva, con assoluta naturalezza, di bere un fiasco di vino al giorno, presentava un quadro classico di cirrosi epatica. Si era quasi entusiasmato dal suo rilievo semeiologico del versamento ascitico. Cosa doveva dirgli l’Aiuto. Era curioso, avrebbe voluto partecipare al colloquio, ma non osava chiederlo.
“Sei libero che dobbiamo parlare con il sig. B.?” (non il numero di letto)
In medicazione: B., in pigiama, guardava con preoccupato rispetto l’Aiuto.
“Signor B, sta meglio?”.
“Si dottore. Il gonfiore alle gambe è diminuito e la pancia è meno gonfia e poi non ho più il tremore e sa…. mi sembra di ragionare meglio, insomma di essere più, come si dice, presente.”
“Vede sig. B. le nostre cure funzionano e fra un paio di giorni la manderemo a casa. Quanti figli ha?”.
“Quater…. mi scusi quattro. Il più grande fa l’ITIS ed è bravo, due sono alle medie e l’ultima alle elementari. Mia moglie, oltre a tenere la casa, «gli» sta sempre dietro. Sono contento”.
“Sig. B. bella famiglia, complimenti, ma vede le nostre medicine hanno ridotto i suoi disturbi, ma non curano la malattia. C’è bisogno di una cura che può fare solo Lei, ed allora, molto probabilmente, la malattia si fermerà”.
B. divenne serio, triste. “Lo so… lo so. Me lo dice sempre mia moglie. Devo smettere di bere, ci proverò, per loro”.
“Non solo per loro, ma prima di tutto per Lei stesso, noi saremo sempre qui quando avrà bisogno”.
B. si alzò, l’aiuto gli diede una stretta vigorosa e gli mise una mano sulla spalla.
“Grazie”, disse con un filo di voce B. e, con grande stupore del neolaureato, diede la mano anche a lui.
B. fu rivisto varie volte (ricoveri programmati, oggi assolutamente inappropriati) e sempre in situazioni di compenso. Entrò a far parte di uno dei primi gruppi di “Alcolisti anonimi” e divenne un educatore.
Togliete l’inevitabile patina romantica all’episodio, che ha quasi cinquant’anni, ma a quel neolaureato questa storia ha fatto un gran bene.
Fare il medico è un privilegio.
Questo è il mio ultimo editoriale da Presidente, vorrei dirvi tante cose, raccontarvi le tante emozioni di un periodo davvero importante della mia vita, ma mi viene una sola parola. Grazie.
Ottavio Di Stefano