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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Convulsioni febbrili complesse: rischio di encefalite o di recidiva entro breve tempo"
ven 01 lug, 2022

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Kajiwara K, Koga H.
Convulsioni febbrili complesse: rischio di encefalite o di recidiva entro breve tempo
Eur J Pediatr. 2022 Jun 17. doi: 10.1007/s00431-022-04529-1. Pubblicato in forma elettronica prima della stampa.
 
In pediatria, le convulsioni febbrili sono tra le patologie neurologiche di più frequente riscontro, avendo un’incidenza del 2%-5% tra i bambini di età compresa tra 6 mesi e 6 anni che vivono in America o in Europa e del 7%-10% tra quelli Giapponesi. Sono essenzialmente distinte in due grandi gruppi, quelle semplici e quelle complesse. Le prime sono assolutamente le più comuni in quanto costituiscono dal 65% all’80% di tutte le convulsioni febbrili. Fortunatamente, sono manifestazioni cliniche benigne in quanto, nel 95% circa dei casi, non sottendono una patologia neurologia acuta o cronica, non danno reliquati significativi e hanno scarsa tendenza a ripetersi nell’ambito dello stesso episodio febbrile, pur potendo ripresentarsi in occasione di un’altra malattia con febbre. Per queste convulsioni febbrili, numerose linee guida internazionali sono concordi nel consigliare che la gestione rimanga affidata al pediatra di famiglia che non deve fare nulla se non spiegare ai genitori la situazione e continuare a seguire nel tempo il bambino per poter individuare quei rarissimi soggetti nei quali può svilupparsi una patologia neurologica. Se il bambino è stato portato in un Pronto Soccorso si consiglia che non venga ospedalizzato e sia mandato a casa, senza esami di laboratorio o radiologici. L’unica malattia che va esclusa è la meningite, oggi molto meno frequente di un tempo per il largo uso dei vaccini anti Haemophilus tipo B, anti-pneumococco ed antimeningococco. La visita medica può essere sufficiente in quasi tutti i casi. La rachicentesi può essere utile in una piccolissima percentuale di pazienti, quella dei piccoli di 6-12 mesi, specie se non hanno ancora effettuato le vaccinazioni raccomandate.

Diverso è, invece, il caso delle convulsioni febbrili complesse, vale a dire quelle convulsioni che compaiono in un bambino con febbre ma che sono caratterizzate, al contrario delle forme semplici, da un quadro focale, da una durata superiore ai 15 minuti e da una certa ripetitività nell’ambito della stessa forma febbrile. In questi casi, linee guida abbastanza datate indicano l’obbligo di un ricovero, con la giustificazione che in questi casi il rischio di una infezione meningoencefalica e quello di recidive focali di lunga durata a breve termine, di per sé potenzialmente lesive, è maggiore e implica sistematicamente prolungata osservazione, esami radiologici e di laboratorio, oltre che ripetute consulenze specialistiche. In realtà, l’esatta dimensione di questi problemi non è esattamente quantificata, nè sono precisamente definiti quali siano i fattori utili ad identificare i soggetti con convulsioni complesse a vero rischio di problemi clinici rilevanti. Se si avessero queste informazioni sarebbe possibile selezionare, anche tra i bambini con convulsioni febbrili complesse, quelli che effettivamente richiedono il ricovero e il complesso approccio sopra ricordato, con ampia riduzione dei problemi medici, sociali ed economici ad essi connessi. Proprio con questo intento è nato lo studio di Kajiwara e Koga che hanno rivisto la storia clinica di 145 bambini con convulsioni febbrili complesse ricoverati in un ospedale pediatrico giapponese. I dati raccolti indicano che le infezioni meningoencefalitiche sono in questi soggetti molto più rare di quanto temuto. Nessun caso di meningite batterica è stato diagnosticato e solo due pazienti (1,4%) hanno avuto una encefalite virale. Inoltre, questi due bambini erano stati tra gli 8 che avevano avuto convulsioni di durata ≥ 30 minuti e tra i 3 che avevano richiesto ≥ 2 somministrazioni di diazepam per via endovenosa per arrestare le convulsioni. Convulsioni ripetute entro 24 ore dalla prima crisi si sono verificate nel 16% dei casi ma nell’84% di questi la ricorrenza si è manifestata entro 8 ore dalla prima, soprattutto nei soggetti con storia familiare di convulsioni febbrili e in quelli che non avevano ricevuto diazepam all’ingresso. Gli autori concludono che anche tra i soggetti con convulsioni febbrili complesse ve ne sono alcuni per i quali l’ospedalizzazione può essere vista in modo diverso da quello classicamente raccomandato dagli esperti. Se è vero, infatti, che bambini con convulsioni febbrili complesse che hanno avuto un primo episodio di durata molto prolungata o hanno avuto bisogno di ripetute somministrazioni di sedativi centrali devono essere ricoverati per il rischio che possano avere una encefalite virale, è anche vero che gli altri possono limitare il ricovero ad 8 ore durante le quali possono essere valutate per tutti gli aspetti clinici necessari. Con esami negativi, dopo questo breve periodo possono essere affidati al proprio pediatra, essendo basso il rischio di recidive, soprattutto se appartengono a famiglia con storia di convulsioni febbrili e sono stati trattati con diazepam dopo la prima crisi.

E’ chiaro che questi dati tendono a semplificare la gestione della convulsioni febbrili complesse e debbono essere visti con grande favore nell’ottica di un processo di sempre maggiore gestione domiciliare della patologia pediatrica. In realtà, come gli stessi autori fanno onestamente notare, è difficile poter generalizzare questi dati e applicarli nella pratica senza ulteriori conferme. Non si può non notare, infatti, che lo studio ha arruolato un numero relativamente piccolo di bambini e, soprattutto, che questi erano giapponesi, vale a dire una popolazione che ha una netta maggiore tendenza, rispetto alle americane ed europee, a sviluppare convulsioni febbrili e che, quindi, può rispondere diversamente sia alla febbre, sia ai sedativi. D’altra parte, un ruolo della genetica nello sviluppo di convulsioni febbrili è stato ben dimostrato da recenti studi. A proposito dell’uso dei farmaci per interrompere le crisi o per ridurre il rischio di recidive, si deve, inoltre, sottolineare che gli autori hanno utilizzato il diazepam e che, quindi, la protezione indotta dal trattamento sul rischio di altri episodi convulsivi avrebbe potuto essere diversa se fossero stati utilizzati, come spesso avviene in altre aree geografiche, altri preparati come midazolam o lorazepam.  Infine, non può essere dimenticato il fatto che alcuni sono contrari all’uso sistematico di un sedativo dopo una convulsione febbrile sia perché in moltissimi casi queste cessano spontaneamente, sia perché l’effetto di questi può mascherare il quadro della patologia infettiva, specie di una encefalite in fase iniziale. In ogni modo, ben vengano altri studi di questo tipo perché solo rivedendo in modo intelligente posizioni radicate molto complesse si può arrivare a semplificare senza rischi l’approccio alla patologia pediatrica, lasciandone la gestione quanto più possibile vicino alla famiglia e lontano dall’ospedale .

Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile  RIPPS