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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Valutazione dell'efficacia e della sicurezza dei vaccini anti Covid-19 a base di mrna nel bambino di 5-11 anni. Revisione sistematica e meta-analisi della letteratura esistente"
mer 01 feb, 2023

 

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Watanabe A, Kani R, Iwagami M, Takagi H, Yasuhara J, Kuno T.
Valutazione dell'efficacia e della sicurezza dei vaccini anti Covid-19 a base di mrna nel bambino di 5-11 anni. Revisione sistematica e meta-analisi della letteratura esistente.
JAMA Pediatr. 2023 Jan 23. doi: 10.1001/jamapediatrics.2022.6243. Epub ahead of print.

Questa revisione della letteratura esistente ha cercato di mettere un poco di ordine nelle informazioni disponibili circa l’efficacia e la sicurezza dei vaccini a mRNA contro il COVID-19 nel bambino di 5-11 anni. Come è noto, da alcuni mesi la vaccinazione dei bambini di questa fascia di età è fortemente raccomandata dalle maggiori istituzioni sovranazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’European Medicines Agency (EMA), l’ European Centre for Disease Prevention and Control (ECDPC), la Food and Drug Administration (FDA) degli USA e i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), ancora degli USA, oltre che dai Ministeri della Salute di molti paesi, Italia inclusa. Questo atteggiamento non è stato, però, condiviso da alcune realtà nazionali molto importanti come Regno Unito e Svezia, che hanno largamente criticato l’uso dei vaccini anti COVID-19 nei bambini di 5-11 anni, sollevando problemi di efficacia e sicurezza e arrivando alla conclusione che non appariva conveniente organizzare una vaccinazione di massa in questi soggetti. Le motivazioni addotte per supportare questo giudizio negativo erano molteplici e andavano dalla relativamente scarsa importanza clinica attribuita a COVID-19 nei bambini, alla evidenza che in alcuni lavori l’efficacia dei vaccini nell’impedire lo sviluppo di malattia non poteva certo essere considerata entusiasmante e che le nuove varianti tipo Omicron potevano ulteriormente ridurre l’efficacia, fino a concludere che mancavano dati di sicurezza sufficientemente approfonditi, soprattutto per quello che riguardava il rischio di comparsa di miocardite, già evidenziato in qualche caso nel bambino più grande e nell’adolescente. A completare il quadro negativo, i detrattori della vaccinazione anti COVID-19 nei bambini di 5-11 anni facevano notare che il vaccino aveva una minima efficacia nel contrastare l’infezione cosicché la vaccinazione di massa non avrebbe nemmeno avuto il vantaggio di esercitare una forma indiretta di protezione dei soggetti anziani e di quelli più giovani a rischio. Se i vaccinati potevano infettarsi nelle stesse proporzioni dei non vaccinati, era chiaro che vaccinare i bambini di questa età non avrebbe ridotto la circolazione del virus e non avrebbe ridotto il rischio di malattia nei familiari o nei contatti a rischio di sviluppo di malattia grave.  Una presa di posizione così forte da parte di autorità sanitarie di paesi ad elevato standard di assistenza sanitaria, per di più pubblicate su prestigiose riviste scientifiche largamente diffuse, ha avuto non solo larga risonanza ma ha certamente influenzato l’atteggiamento di chi doveva vaccinare, dei pediatri che dovevano consigliare i genitori sul cosa fare e sui genitori stessi, già, in genere, non entusiasti di sottoporre i loro figli all’ennesima vaccinazione, per di più con un preparato nuovo, poco sperimentato e di efficacia variabile a seconda del tipo variante dominante nel momento in cui il ciclo vaccinale veniva eseguito.

Il lavoro di Watanabe e collaboratori risponde in modo preciso ad alcune delle obiezioni poste dai detrattori della vaccinazione dei bambini di 5-11 anni, almeno per quello che riguarda i vaccini. Questi autori hanno esaminato tutti i lavori pubblicati fino alla fine di settembre 2022 e recensiti da PubMed e Embase che hanno confrontato efficacia e sicurezza della vaccinazione antiCOVID-19 nei bambini di 5-11 anni includendo un gruppo controllo non vaccinato e, per quanto riguardava la sicurezza, anche gli studi in aperto senza controllo. Con i dati di 2 studi clinici randomizzati e 15 studi osservazionali Watanabe e collaboratori hanno potuto analizzare quanto successo in 10.935.541 bambini vaccinati di 2.635.251 bambini non vaccinati. Due dosi di uno dei due vaccini a mRNA hanno comportato un più basso rischio di infezione (sintomatica o non) (OR, 0.47; 95%d CI, 0.35-0.64), di malattia (OR, 0.53; 95% CI, 0.41-0.70), di ospedalizzazione (OR, 0.32; 95% CI, 0.15-0.68), e di sindrome infiammatoria multisistemica (OR, 0.05; 95% CI, 0.02-0.10). Molto importante ai fini della rilevanza di questi dati è stato il fatto che il computo dell’impatto della vaccinazione sull’infezione da SARS-CoV-2 e sulla malattia è stato fatto in periodi diversi nei quali avevano circolato varianti virali differenti, inclusa la recente Omicron. Cinque dei 6 studi che hanno valutato l’efficacia dei vaccini contro l’infezione e 4 dei 6 che avevano misurato l’efficacia contro la malattia sono stati condotti nel periodo in cui questa variante era predominante, ed hanno, quindi, permesso di confutare pienamente la asserzione negativa secondo la quale i vaccini erano non solo poco efficaci in ogni situazione ma che questo limite si aggravava in presenza delle varianti più recenti di SARS-CoV-2. Infine, buone nuove anche per ciò che riguarda gli eventi avversi da vaccino. Se è vero, infatti, che la vaccinazione ha comportato un maggior rischio di insorgenza di eventi avversi (OR, 1.92; 95% CI, 1.26-2.91), questi sono stati, in genere, lievi e senza conseguenze a distanza. L’incidenza di quelli che hanno condizionato una riduzione delle normali attività di ogni giorno è stata solo dell’8.8% (95% CI, 5.4%-14.2%). Infine, e questo annulla anche un’altra obiezione all’uso dei vaccini, il rischio di miocardite è stato calcolato in un caso ogni 1.8 milioni di seconde vaccinazioni (95% CI, 0.000%-0.001%), quindi di gran lunga inferiore a quello della miocardite da infezione da SARS-CoV-2. Sulla base di questi dati sembra chiaro che il vaccino ha caratteristiche che di per sé sembrerebbero giustificarne l’uso non solo per la protezione del bambino vaccinato ma anche per la protezione dei conviventi a rischio. Ridurre a più dl 50% il rischio che un bambino si infetti e, quindi, che diventi un possibile untore è un risultato non da poco.

Resta da controbattere l’affermazione che, in ogni caso, COVID-19 è una banalità e che quale che sia l’efficacia del vaccino, non vale la pena di immunizzare i bambini, tanto più che l’organizzazione di una vaccinazione universale e il convincimento di genitori riottosi può non essere facile. In realtà, non è vero che COVID-19 sia nei bambini una sine cura. Tanto per cominciare, la mortalità pediatrica da COVID-19 è bassa ma esiste ed è addirittura più alta di quelle che in era pre-vaccinale avevano malattia per le quali i vaccini sono oggi accettati come obbligatori o sono fortemente raccomandati. Negli USA ogni anno, prima delle raccomandazioni all’uso dei rispettivi vaccini, venivano registrati 3 casi di morte per epatite A, 10 per infezioni da meningococco, 16 per varicella, 17 per rosolia, 20 per rotavirus. Nel periodo ottobre 2020-ottobre 2021, 66 bambini di 5-11 anni sono morti di COVID-19. Non si capisce perché certe patologie sono largamente accettate come malattia da prevenire con il vaccino e lo stesso non debba avvenire per il COVID-19. Un discorso simile potrebbe essere fatto per le visite mediche sul territorio, le ospedalizzazioni, compresi i ricoveri in terapia intensiva. Infine, non va dimenticato il problema del long-COVID che certamente esiste e che, anche se ancora non precisamente definito nelle sue manifestazioni pediatriche, può dare rilevanti conseguenze di varia natura, specie di ordine neuropsichiatrico e che, quindi, la prevenzione di questo “long-term effect” può essere utile. Al di là dei vantaggi medici, una riduzione delle infezioni e dei casi di malattia acuta o cronica avrebbe anche un consistente vantaggio sul piano economico, riducendo il carico sul sistema sanitario. Non resta, quindi, che chiedere ai pediatri dubbiosi, fortunatamente una minoranza, di rivedere le loro opinioni. Agli altri non può che essere suggerito di tenere conto di questi dati per avere a disposizione elementi più forti per convincere i genitori riottosi a vaccinare i loro figli. A questo proposito si sottolinea che tutte le autorità sanitarie consigliano l’esecuzione, in aggiunta alle 2 dosi dello schema di immunizzazione di base, di un richiamo con il più recente vaccino bivalente, almeno per i soggetti che, per una malattia di base o per terapie in atto, possono essere considerati a rischio di malattia grave. Infine, si ricordi che la durata della protezione indotta dal ciclo primario di due dosi ha ben precisi limiti temporali e che un terzo vaccino può essere previsto per i soggetti sani quando siano trascorsi molti mesi dalla seconda vaccinazione. Valori come quelli rilevati in Italia al 29/01/2023 che dicono che solo il 35% dei bambini di 5-11 hanno completato il ciclo primario di 2 dosi di vaccinazione anti COVID-19 debbono salire perché tutti bambini, anziani e soggetti a rischio siano più efficacemente protetti.            

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Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS