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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Sicurezza a lungo termine (2 anni) del metilfenidato nei bambini e negli adolescenti con disturbo da deficit di attenzione e iperattività"
gio 15 giu, 2023

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Man KKC, Häge A, Banaschewski T, Inglis SK, Buitelaar J, Carucci S, et al.
Sicurezza a lungo termine (2 anni) del metilfenidato nei bambini e negli adolescenti con disturbo da deficit di attenzione e iperattività
Lancet Psychiatry. 2023;10:323-333.

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato principalmente da disattenzione, iperattività ed impulsività, talora associate ad altre forme di disagio mentale, quali ansietà e depressione, disordini comportamentali, difficoltà nell’apprendimento, sviluppo di tic nervosi. Il tutto interferisce in modo significativo sulla resa scolastica, sui comportamenti e sullo sviluppo di normali rapporti relazionali, rendendo, così, assai problematiche, le possibilità di una vita adolescenziale ed adulta del tutto normale. La frequenza è tutt’altro che trascurabile perché è stato calcolato che soffrono di ADHD il 2% dei bambini di 3-5 anni, il 9.3% di quelli tra 6-11 anni e l’11.5% i quelli di età superiore. Il problema è, quindi, importante, tantopiù che una corretta diagnosi non è facile e l’approccio terapeutico tutt’altro che sempre risolutivo, specie nei casi trattati tardivamente. La diagnosi presuppone una valutazione molto attenta da parte del pediatra e, successivamente, del neuropsichiatra infantile, entrambi essenziali per un precoce sospetto diagnostico, per la diagnosi definitiva e per l’impostazione di una corretta terapia. La diagnosi deve essere sospettata quando sintomi suggestivi sono presenti per almeno 6 mesi e potrà essere confermata solo in centri specializzati, con l’osservazione diretta del soggetto e l’esecuzione di una serie di test sulle cosiddette funzioni esecutive (pianificazione, attenzione, memoria, impulsività), al fine di quantificare in maniera obiettiva il rendimento in tali ambiti rispetto all’età cronologica. Si quantifica anche il livello intellettivo, le abilità di lettura, scrittura e calcolo, gli eventuali aspetti motori e quelli emotivi.

Fatta la diagnosi, sarà necessario impostare un percorso riabilitativo e terapeutico che porti al potenziamento delle funzioni neuropsicologiche deficitarie (pianificazione, attenzione, memoria, impulsività), e favorisca l’integrazione del soggetto nella comunità scolastica ed extrascolastica attraverso il miglioramento delle abilità sociali piuttosto e un migliore controllo delle emozioni. Un ruolo fondamentale per favorire una evoluzione positiva lo hanno anche i genitori e gli insegnanti ai quali vanno ricordate sempre le cose da non fare a fronte di un bambino con ADHD e cioè non accogliere mai la sua sfida ponendosi sul suo stesso piano; non essere punitivi; non usare la violenza verbale e fisica; non essere confusivi nella comunicazione e incoerenti nel comportamento. Nei casi nei quali il trattamento neuropsichiatrico non dia i risultati attesi, si associa un trattamento farmacologico, in genere basato sull’uso di metilfenidato, uno psicostimolante efficace nel 70% circa dei casi e che agisce aumentando il rilascio e il reuptake della dopamina. Il livello del neurotrasmettitore nello spazio sinaptico viene così modulato, con riduzione dell’iperattivazione del neurone presinaptico e potenziamento della trasmissione del segnale al neurone postsinaptico. Oltre che all’inizio, per il sospetto diagnostico e il conseguente invio allo specialista, il pediatra di famiglia ha un ruolo fondamentale nel seguire questi soggetti, soprattutto quelli trattati farmacologicamente, per la verifica della efficacia del farmaco e la precoce valutazione degli eventuali eventi avversi.

Il lavoro di Man e collaboratori è il primo a valutare la sicurezza e la tollerabilità del metilfenidato a lungo termine, cioè per almeno 2 anni, un periodo di trattamento non certo inconsueto in soggetti con questa patologia. In precedenza, il farmaco era stato assolto dal rischio di causare eventi avversi significativi, ma l’osservazione si era la massimo limitata all’anno di trattamento e non sempre gli studi erano risultati metodologicamente ineccepibili. D’altra parte, in alcuni casi, la somministrazione a breve termine si era associata a diminuzione dell’appetito, perdita di peso e dolore addominale e, sia pure meno frequentemente, a cefalea, irritabilità, insonnia, ansia e propensione al pianto. Inoltre, sia pure senza raggiungere la significatività statistica rispetto ai controlli non trattati, il metilfenidato era risultato capace di determinare ipertensione e danno miocardico più spesso del placebo. Restava, quindi, da chiarire l’impatto a lungo termine del metilfenidato sulla comparsa di questi possibili eventi avversi. In questo caso, inoltre, la metodologia seguita è stata ineccepibile. Il gruppo trattato è stato composto solo da soggetti con ADHD certa che erano metilfenidato vergini e, quindi, erano esposti per la prima volta al farmaco. Inoltre, sono stati arruolati due gruppi controllo, uno con soggetti affetti da ADHD ma in trattamento senza farmaci, e uno di soggetti assolutamente sani. Oggetto di analisi sono state la crescita staturale e ponderale, i valori della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, oltre ad una larghissima serie di valutazione neuropsichiatriche. Un totale di 1410 bambini di età media di 9.28 anni è stato arruolato. Di questi 756 erano in terapia con il farmaco in studio, 391 avevano ADHD ma non ricevevano metilfenidato e 263 erano controlli sani.  I controlli effettuati al termine dei 2 anni di studio hanno confermato l’efficacia del metilfenidato sulle problematiche neuropsicologiche ed hanno escluso che al termine del periodo di trattamento la terapia farmacologica avesse in qualche modo inciso sulla velocità di crescita staturale, sul peso e sull’indice di massa corporea. Al contrario frequenza cardiaca e valori pressori diastolici e sistolici sono risultati più elevati nei trattati rispetto agli altri 2 gruppi, anche se l’entità degli aumenti era irrilevante dal punto di vista clinico. Partendo da questi risultati, gli autori, hanno confermato la sicurezza del metilfenidato per quanto riguarda la crescita, anche se hanno continuato a sottolineare la necessità di un controllo sistematico della situazione cardiocircolatoria nei soggetti trattati per lunghi periodi. Tutto abbastanza bene, quindi.

In realtà, se si vanno a leggere i dati raccolti nel dettaglio e si legge anche il commento al lavoro pubblicato come editoriale nello stesso numero della rivista (Moran LV. Long-term safety of methylphenidate in children with ADHD. Lancet Psychiatry. 2023;10:306-307) si scopre che non tutto è oro quello che luccica e che, forse, non tutti i problemi sono realmente chiariti. Se si osservano i dati raccolti nel corso dello studio, si nota che quelli raccolti dopo 6 mesi di trattamento dimostrano che i bambini in terapia farmacologica presentavano una consistente riduzione della velocità di crescita, riduzione, per altro, non più dimostrabile a 24 mesi. Concludere che alla fine non ci sono problemi può essere, in realtà, discusso alla luce di due considerazioni. La prima riguarda proprio lo studio in esame e si basa sul fatto che, nel tempo, il numero di soggetti trattati si è notevolmente ridotto. Circa la metà dei casi arruolati è stato perso a 2 anni. Non sapendo quale fosse la compliance dei trattati alle prescrizioni del farmaco ed essendo molto ampia la dose utilizzata, non si può escludere che la normalizzazione della crescita possa essere dipesa dal fatto che il calcolo finale sia stato fatto su soggetti che prendevano meno farmaco ed erano, quindi, meno influenzati da esso. La seconda considerazione riguarda un dato della letteratura. Uno degli studi che aveva analizzato l’impatto a breve termine (12 mesi) del metilfenidato aveva, poi, seguito nel tempo i soggetti testati ed aveva dimostrato che in età adolescenziale la crescita era strettamente collegata alla quantità di farmaco assunta in precedenza, anche se il trattamento non era recentissimo. Coloro che avevano preso le dosi più elevate erano cresciuti assai meno di quelli con dosi più basse, suggerendo una persistente alterazione della crescita. Da qui la necessità di verificare la crescita dei soggetti arruolati in questo studio molto più in là nel tempo, nel periodo nel quale la fisiologica accelerazione della crescita si presente. I bambini di questo studi avevano in media meno di 10 anni, quando, invece, l’accelerazione fisiologica è decisamente più avanzata. Controlli in questa fase potrebbero meglio verificare l’effetto del metilfenidato sulla crescita definitiva.

Due conclusioni, per chiudere. La prima riguarda i pediatri di famiglia. Se seguono bambini trattati con metilfenidato, controllino bene non solo pressione arteriosa e frequenza cardiaca ma anche la crescita, soprattutto di quelli che prendono dosi consistenti per lungo tempo. La seconda riguarda tutti noi. Per trarre conclusioni da un lavoro scientifico bisogna leggerlo bene. Onestamente, quanto fatto notare dall’editorialista mi era scappato. Anche i lavori pubblicati su riviste prestigiose da gruppi di grandissimi esperti possono avere qualche problema, magari minore, ma sufficiente ad aprire discussioni sulla interpretazione dei risultati ottenuti fornita dagli autori.


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Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS