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SIPPS Newsletter dalla letteratura. Articolo "Associazione tra somministrazione prenatale di corticosteroidi e rischio di gravi malattie infettive nei bambini: uno studio nazionale"
gio 31 ago, 2023

Di seguito l'articolo pervenuto dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS)

Yao TC, Chang SM, Wu CS, Tsai YF, Sheen KH, Hong X, et al.
Associazione tra somministrazione prenatale di corticosteroidi e rischio di gravi malattie infettive nei bambini: uno studio nazionale.
BMJ. 2023;382:e075835.

È ormai da anni dimostrato che la profilassi corticosteroidea prenatale è efficace nel ridurre la mortalità e la morbilità del prematuro attraverso una consistente accelerazione della maturità fetale e la conseguente riduzione del rischio di sviluppo di distress respiratorio, enterite necrotizzante, emorragia cerebrale e, in genere, di tutte le problematiche presenti nei primi giorni di vita extrauterina nei bambini prematuri. Ciò spiega perché la somministrazione di corticosteroidi viene raccomandata da tutte le società scientifiche per tutte le gravide con gestazione compresa tra le 24 e le 34 settimane per le quali è previsto un parto pretermine entro 24 ore e fino a 7 giorni dal trattamento. In genere, si somministra betametasone alla dose di 12 mg im da ripetere dopo 24 ore o dopo 12 ore se si prevede il parto entro 24 ore. Per molto tempo, visti gli enormi vantaggi immediati per la salute del pretermine, poco o nulla importanza è stato data alla possibilità che la somministrazione di corticosteroidi in una fase molto precoce della vita potesse determinare qualche ricaduta negativa a distanza. Gli studi al riguardo sono stati pochi, spesso su casistiche limitate e con qualche problematica metodologica. Solo recentemente, la segnalazione che i bambini nati prematuramente da madri trattate con corticosteroidi potevano avere problemi neurologi significativi assai più spesso di quelli nati da madri non profilassate ha riaperto il problema. Lo studio di Yao e collaboratori ne affronta un diverso aspetto, quello relativo al rischio di sviluppo di malattie infettive. D’altra parte, i rapporti tra corticosteroidi e sistema immune sono ben noti ed è sembrato ovvio agli autori verificare eventuali ricadute dell’uso di questi farmaci sul rischio infettivo nei primi mesi di vita. Per fare ciò gli autori hanno analizzato tutte le gravidanze registrate ufficialmente in Taiwan dall’1 gennaio 2008 al 31 dicembre 2019 per un totale di 1.960.545 donne delle quali 45.232 erano state profilassate e 1.915.313 sono servite da controlli. I bambini sono stati seguiti per tutto il primo anno di vita con valutazione a 3, 6, 9 e 12 mesi, e i casi di sepsi, polmonite, gastroenterite acuta, pielonefrite, meningite o encefalite, cellulite o infezione dei tessuti molli, artrite settica o osteomielite, ed endocardite sono stati accuratamente, anche se retrospettivamente, registrati e rianalizzati. I risultati del confronto tra casi e controlli ha dimostrato che il rischio di sepsi, polmonite e gastroenterite nei primi 6 mesi era nettamente superiore nei figli di madri profilassate che nei controlli (aAR 1.32, 95% CI 1.18 to 1.47, P<0.001, per tutte le 3 patologie insieme, 1.74, 95% CI 1.16 - 2.61, P=0.01, per sepsi; 1.39, 95% CI 1.17 - 1.65, P<0.001, per polmonite; e 1.35, 95% CI 1.10 - 1.65, P<0.001, per gastroenterite acuta). Dati del tutto sovrapponibili sono stati raccolti per le stesse patologie nei bambini di 1 anno. Non diverse, infine, sono state le conclusioni quando i dati raccolti sono stati analizzati tenendo conto dell’età gestazione dei bambini. I soggetti prematuri trattati sono stati più a rischio di malattie infettive totali e di sepsi, polmonite o gastroenterite acuta dei prematuri non trattati così come i soggetti a termine nati da madri profilassate sono risultati più a rischio delle stesse patologie di quelli a termine nati da madre senza profilassi corticosteroidea. A fronte di questi risultati, le conclusioni sono state ovvie. Si è concluso, infatti, che, al di là di confermare questi dati con altri studi, nel decidere se sottoporre una madre gravida alla profilassi corticosteroidea, particolare attenzione debba essere posta non solo ai vantaggi immediati ma anche alle possibili problematiche a distanza, incluse quelle infettive. È evidente che il suggerimento a vagliare la logica della profilassi verte soprattutto sulla evidenza che una parte non trascurabile delle donne trattate in realtà ha partorito un nato a termine e non avrebbe, quindi, dovuto essere profilassata. Poiché la tendenza ad eccedere nell’uso degli steroidi nella gravida non è limitata a Taiwan ma è ben dimostrata in molti altri paesi, è chiaro che, se si vuole fare il bene del neonato senza far correre rischi per le malattie infettivi e per le problematiche neurologiche, bisogna selezionare bene i casi che meritano la profilassi, evitando quanto più possibile di dare farmaci a donne che partoriranno un nato a termine.
Questo studio porta poi ad una seconda conclusione, bene sintetizzata in un editoriale di commento apparso sullo stesso numero del BMJ. Si fa notare, infatti, che i risultati di questo studio, per quanto condotto in modo apparentemente ineccepibile, prima di essere considerati definitivi, meritano altri riscontri. Il numero dei soggetti nati da madri trattate è, infatti, relativamente piccolo, specie se lo si confronta con la dimensione del gruppo controllo. Inoltre, anche se moltissime variabili che di per sé possono influenzare lo stato di salute del bambino ed il suo rischio infettivo nel primo anno sono state considerate nell’analisi multivariata che ha portato ai dati sovraesposti, è assai probabile che molte di queste siano state relativamente poco comuni nei soggetti nati da madre profilassata e non abbiano, quindi, potuto essere analizzate nel loro vero valore come elementi singoli caratterizzanti lo sviluppo del rischio. Quindi, dati interessati ma necessariamente da rivedere alla luce di casistiche di dimensioni maggiori per le quali il peso dei fattori potenzialmente interferenti possa essere meglio definito e portare ad una precisa identificazione di quali soggetti sono veramente a rischio di avere problemi. Sono questi dubbi e necessità che si ripropongono tutte le volte che si studia il peso di una variabile nel determinismo di una certa situazione quando, però, moltissimi fattori interferenti possono di per sé avere un ruolo nel condizionare la comparsa o meno della stessa situazione. Si pensi al discorso probiotici e loro efficacia in certe patologie o, ancora, al discorso vitamina D ed effetti extrascheletrici. Per nessuna di questi problemi si ha ancora una soluzione precisa proprio perché scorporare il valore di questo o quel probiotico, di questa o quella combinazione, di questo o quello schema di somministrazione dal ruolo di altre variabili che possono modificare l’evoluzione dello stato di salute è molto difficile. Ciò spiega perchè nessuno studio ha finora permesso di trarre conclusioni definitive sull’effettivo valore dei probiotici, tranne in alcune ben selezionate condizioni cliniche nelle quali, come la diarrea da antibiotici o la enterite acuta, è stato possibile analizzare nel dettaglio e in casistiche numericamente adatte, il valore dei singoli fattori. Lo stesso vale per la vitamina D per la quale andare a studiare l’effetto in patologie extrascheletriche è assai difficile perché molte altre variabili, difficilmente scorporabili, possono agire simultaneamente alla vitamina D e rendere difficile o impossibile valutarne il reale effetto.   

Prof. Nicola Principi - Direttore Responsabile RIPPS